venerdì 27 agosto 2021

L’epidemia italiana da COVID-19 e la pandemia. Prevenzione e terapie


A quasi due anni dall’inizio della pandemia, in questo articolo per la Voce il professor Giulio Tarro fa il punto su contagio, prevenzione, terapie e vaccini, rispondendo alle domande più frequenti che arrivano da ogni parte del mondo.

 

Il professor Giulio Tarro

La gestione italiana dell’epidemia da coronavirus da parte del comitato tecnico scientifico (CTS) è stato un fallimento secondo un editoriale della prestigiosa rivista inglese NATURE come riportato nella prima decade di marzo 2021.

Nel comitato non era presente alcun virologo e la maggior parte dei 24 “esperti” sono stati nominati ad personam senza alcuna competenza sul campo della infezione virale. Inoltre il CTS con poca o nessuna esperienza ha affermato a gennaio 2021 che mantenere gli studenti sull’apprendimento a distanza avrebbe causato loro un grave impatto sul lato psicologico e personalità. Tale dichiarazione ha avuto conseguenti politiche nazionali, pur non avendo alcun membro esperienza nel campo della istruzione, della psicologia infantile o della neuropsichiatria.

 

Secondo uno studio pubblicato su Science da parte della Emory University di Atlanta il coronavirus assumerà un carattere endemico e la sua letalità, cioè mortalità dei contagiati, finirà per attestarsi intorno allo 0,1% al di sotto dell’influenza stagionale, pertanto il forte distanziamento sociale non è la soluzione, né lockdown, mascherine, chiusure, caccia al contagiato, colpevolizzazione della gente… Si pretende di perseverare con questa gestione dell’emergenza nell’illusione di fermare un virus ormai ENDEMICO, asintomatico nel 90-95% dei casi, e che potrebbe essere efficacemente affrontato, anche quando colpisce gli anziani, con tempestive cure.

 

Una terapia domiciliare del Covid.

Abbiamo al 90, 95% asintomatici positivi. E gli asintomatici positivi non sono contagiosi. Da sempre. Chi non ha i sintomi, chi non è malato, non può contagiare. Lo ha detto anche l’Oms. Quindi non ha senso chiudere tutti in casa. Chi si ammala va curato, semplicemente. Come ho fatto io seguendo i dettami di Didier Raoult, per le persone che si sono rivolte a me. Come fanno centinaia di medici usando idrossiclorochina, azitromicina e guarendo le persone a casa. Ad esempio, al centro Sud i morti sono stati molti di meno perché hanno utilizzato subito cortisone ed eparina e hanno evitato trombo embolie. La gente è morta perché non sono stati usati i farmaci corretti. Un esempio, vale su tutti: mi chiamarono dalla Sicilia perché a Milano c’era un uomo malato di 54 anni. Era arrivata l’ambulanza, gli avevano detto che non sussisteva la necessità di ricovero. Lui aveva chiesto “cosa devo fare”? Risposta, Nulla, non c’è   una terapia.

Siamo arrivati a un tasso di letalità che, ripeto, è legato alla cattiva gestione dell’emergenza, a cure sbagliate, a posti di terapia intensiva tagliati negli anni scorsi. Qui per usare idrossiclorochina abbiamo dovuto aspettare il Consiglio di Stato!

Deve essere chiaro un concetto: il Covid si cura.

Intanto va stabilita l’eliminazione di tutte le assurde norme profilattiche sinora imposte, come le onnipresenti mascherine che in molte nazioni non si usano più da mesi. Poi basta agli inaffidabili tamponi disseminati in tutte le regioni per mettere in isolamento i “contagiati” e annunciare fantomatici “focolai di Covid. Ci vuole una stabile struttura di monitoraggio del contagio gestita dallo Stato che miri ad accertare il livello di immunità acquisita. Basta al mercanteggiamento tra esperti per stabilire il da farsi. Meglio invece un unico epidemiologo alla direzione sanitaria dell’emergenza. E occorre proteggere le categorie a rischio garantendo la ripresa delle visite ambulatoriali e domiciliari.

 

Basta con il terrorismo mediatico e basta con la censura.

Tutta la documentazione relativa all’emergenza, comprese le cartelle cliniche dei “morti per Covid”, gli studi scientifici, i motivi dell’esclusione o dell’inserimento di farmaci, i contratti con aziende farmaceutiche, deve essere messa subito a disposizione del Parlamento, dei ricercatori e del pubblico.

Non mi illudo comunque che, senza un grande movimento di opinione, queste misure possano essere adottate a breve. Anche perché oggi la gente si è ridotta a credere che se non funzionano i lockdown la colpa è di qualche sciagurato che si abbandona alla movida e accetta quanto dichiarato da Antony Fauci, e cioè che, pur con le vaccinazioni, dovremo indossare la mascherina all’aperto almeno fino al 2023.

Le mascherine vanno indossate quando servono. Se c’è il distanziamento si può fare a meno anche della mascherina, soprattutto all’aperto. La mascherina serve nei luoghi al chiuso o nei locali in cui ci sono contatti inferiori a un metro. Non se ne deve fare un abuso, perché a lungo andare le mascherine possono diventare dannose per la salute. Non tutti siamo uguali e non se ne può imporre l’uso indiscriminato e ovunque. Solo i contagiati devono portare le mascherine e devono avere accortezza con le distanze quando frequentano persone a rischio. Ma ai bambini non si può imporre la mascherina. Per lo meno fino a 12 anni. Le norme igieniche vanno rispettate con attenzione da tutti, con buon senso. D’altra parte l’uso delle mascherine sotto i sei anni è completamente proibito (OMS) dal momento che si potrebbe indurre un “autismo” funzionale, perché vi sono tre aree della corteccia cerebrale in evoluzione in base all’associazionismo ed alle emozioni che un bambino recepisce a quella età.

 

LO STUDIO DI LANCET

In uno studio pubblicato il 17 febbraio su The Lancet, “Clarifying the evidence on SARS-CoV-2 antigen rapid tests in public health responses to COVID-19” si legge quanto segue.

I frammenti di RNA possono persistere, anche nella cavità nasale, per settimane dopo che l’infezione è già stata debellata (quindi non persistono virioni vitali all’interno dell’organismo). Questo, insieme a fenomeni di cross-reattività (positività verso coronavirus simili al Sars-Cov-2, legati all’impiego di elevate concentrazioni del primer di innesco della PCR) è alla base dei falsi positivi PCR, che, pertanto, non rappresentano il metodo di riferimento per il tracciamento di massa. Il metodo per stabilire le attuali zone gialle, arancioni e rosse calcolando i supposti “contagiati” è sbagliato; ci stanno imponendo confinamenti e chiusure assolutamente inutili dal punto di vista sanitario.

Il rilievo di casi positivi asintomatici nel post-lockdown di Wuhan è stato molto basso (0,303/10.000) e non vi è stata alcuna evidenza che i casi identificati come positivi asintomatici fossero infettivi. Queste osservazioni hanno permesso la decisione delle autorità di adeguare le strategie di prevenzione e controllo nel periodo post lockdown. Ulteriori studi sono richiesti per valutare pienamente l’importo e l’effettivo costo dello screening a tutta la città dell’infezione da SARS-CoV-2 sulla salute, il comportamento, l’economia e i rapporti sociali della popolazione.

 

Leggiamo ancora l’articolo di Lancet. «È davvero una follia proseguire con la caccia al contagiato da “isolare”, anche perché, il Sars-Cov-2 (e le sue innumerevoli “varianti”) essendo estremamente contagioso e non producendo una immunità stabile, al pari di quello della varicella, si avvia a diventare (o è già diventato) endemico nella popolazione. E, di certo, non lo si schioda da questa con mascherine, lockdown, scuole chiuse, e distanziamento sociale».

«Come attestato dai pochi dati resi pubblici dalle case farmaceutiche che li producono, gli attuali vaccini non garantiscono una immunità perenne né, tantomeno, una “immunità sterile” al vaccinato che continua, quindi, a trasmettere il virus. Promettono soltanto di ridurre i sintomi dell’infezione; sintomi che nel 90-95% degli “infettati” addirittura non si manifestano. Sarebbe stato logico, quindi, che ad essere vaccinati fossero solo gli anziani nei quali l’insorgere del Covid rappresenta un reale pericolo. Se gli anziani over 80 fossero stati vaccinati a gennaio come inizialmente previsto, non ci sarebbero stati 500 morti al giorno. Si è scelto, invece, una vaccinazione di massa che – oltre a moltiplicare i rischi, inevitabilmente connessi ai vaccini – non garantirà una pur provvisoria immunità di gregge».

«Quindi bisogna cambiare completamente la fallimentare gestione dell’emergenza Covid che si protrae, ormai, da un anno. Serve quella che potrebbe essere una nuova, efficace, strategia sanitaria. Ad esempio l’eliminazione di tutte le assurde “norme profilattiche” sinora imposte. Misure profilattiche che, invece, i milioni di ipocondriaci che i lockdown sono riusciti a creare considerano ormai “normali”. Come le onnipresenti “mascherine” che, in molte nazioni, come la Russia ad esempio, non si usano più da mesi. In Italia, invece, non solo si addita come “untore” chi non si copre anche il naso con la mascherina, ma si continua ad inneggiare a governanti che oggi annunciano nuovi ferrei lockdown per “salvare le vacanze di Pasqua”, dimenticandosi cosa sono state le vacanze natalizie».

«Intanto, invece degli inaffidabili tamponi disseminati senza alcun criterio dalle Regioni per mettere in isolamento i “contagiati” e annunciare fantomatici “focolai di Covid”, una stabile struttura di monitoraggio del contagio gestita dalla Stato che miri ad accertare il livello di immunità acquisita».

 

Secondo il Centro Europeo per il controllo delle malattie ECDC la PCR è attendibile fino a 24 cicli – ad esempio i tamponi sono stati amplificati con un numero di cicli compreso tra 35 e 41, rendendoli inaffidabili al 90%. I contagi del COVID-19 in Italia sarebbero due terzi in meno di quelli comunicati. A lanciare il sospetto è stata una trasmissione del 27-2-2021 molto popolare in TV, Le Iene. L’Istituto Superiore di Sanità (ISS) ha il compito di convalidare i risultati dei tamponi positivi al coronavirus. Secondo un rapporto del Presidente ISS in una riunione interna, due terzi dei tamponi supposti positivi sarebbero risultati invece negativi.

 

 

 

LE VARIANTI

Attualmente esistono tre principali varianti genetiche del COVID-19. queste mutazioni sorgono in genere quando il virus è sottoposto a pressione selettiva da parte degli anticorpi che limitano, ma non eliminano la replicazione virale. Gli anticorpi specifici, che neutralizzano il virus, sono ancora in grado di agire sulla proteina virale “spike”, nonostante i cambi di sequenza dell’acido nucleico virale siano presenti nella variante D614G, come nelle altre successive che hanno la finalità di permettere la sopravvivenza delle particelle virali.

Nell’agosto del 2020 un’altra variante è iniziata a propagarsi nel Regno Unito; spesso chiamata “variante inglese”, ma etichettata come B.1.1.7. Questa variante viene ora isolata in molte nazioni inclusi gli Stati Uniti, la sequenza della variazione della proteina S viene chiamata N501Y e sembra aumentare la trasmissibilità della COVID-19. Recenti studi hanno dimostrato che i vaccinati con RNA messaggero della Pfizer BioNtech e Moderna sono protetti da anticorpi neutralizzanti la nuova variante. Tuttavia altri studi di laboratorio alla Rockfeller University hanno dimostrato la riduzione dell’efficienza dei vaccini ad RNA messaggero sugli anticorpi che neutralizzano il virus. In conclusione queste osservazioni permettono di sapere che esiste la possibilità di una diminuita efficacia degli anticorpi specifici per il virus, e suggeriscono di poter effettuare una modulazione dei vaccini capaci di fare fronte alle nuove varianti virali con l’elicitazione di nuovi anticorpi neutralizzanti.

Un’altra variante adesso circola nella California del Sud CAL20C con sequenza genica chiamata L452Y che sembra agire in maniera molto simile alla variante inglese.

Purtroppo, vi è una nuova variante identificata in Sud Africa, N501Y.V2 (oppure B.1.351). A livello genetico la variante africana ha maggiori cambiamenti di sequenze sia della D614G che di quella inglese. Questa “variante africana” desta maggiore preoccupazione perché le nuove sequenze genetiche sono più vicine al grimaldello virale che si lega al recettore ACE2 delle cellule umane per penetrarle e quindi infettarle. Dal momento che la variazione di sequenza del virus risulta vicino alla “chiave” di entrata cellulare, l’anticorpo specifico potrebbe mancare di neutralizzare la componente virale che permette la penetrazione cellulare.

Infine, un’altra variante con le stesse proprietà di quella Sud Africana è stata identificata in Brasile, di cui adesso cominciamo a conoscere la diffusione.

Ovviamente il problema principale dell’esistenza di queste varianti virali riguarda la risposta vaccinale, per esempio al National Institute of Health hanno dimostrato che gli anticorpi indotti dal vaccino a RNA messaggero della Moderna sono un sesto attivi contro la variante Sud Africana. In compenso i vaccini a RNA messaggero sono in grado di indurre sia cellule T citotossiche che specifiche cellule T helper che sono implicate nella protezione contro il virus.

In ogni caso pur riconoscendo la sensibilità inferiore della variante Sud Africana e di quella Brasiliana nei riguardi della sensibilità agli anticorpi neutralizzanti, rimangono validi i vaccini a RNA messaggero. D’altra parte, la stessa osservazione è stata fatta con vaccini inattivati sviluppati in Cina ed in India. Non ci sono invece abbastanza dati sufficienti per conoscere l’efficacia dei vaccini con vettore adenovirale umano o da scimmia (AstraZeneca, Johnson e Johnson/Janssen e quello russo Sputnik V) oppure per le proteine ricombinanti della Novavax (USA) e della Sanofi (GSK).

Le varianti diventano anche meno suscettibili agli anticorpi monoclonali neutralizzanti, prodotti in laboratorio ed usati farmacologicamente.

Le stesse alterazioni che cambiano la forma della proteina S (spike) e sono capaci di distorcere il sito cui si legano gli anticorpi neutralizzanti, hanno dimostrato di rendere inefficaci gli anticorpi monoclonali per la variante inglese ed in particolare per quella Sud Africana. Pertanto i nuovi anticorpi monoclonali autorizzati dalla Food and Drug Administration (FDA) americana debbono essere in grado di neutralizzare anche queste varianti virali.

La variante del coronavirus del Sud Africa è in grado di evitare  la protezione indotta dal vaccino Pfizer-BioNTech secondo un nuovo studio israeliano realizzato dall’università di Tel Aviv e dall’istituto Clalit, non ancora sottoposto a peer review. In Israele è strato utilizzato quasi esclusivamente proprio il vaccino Pfizer per vaccinare milioni di cittadini (sono circolate pochissime dosi di Moderna).

La diffusione delle varianti (in particolare la sudafricana e la brasiliana che hanno in comune le mutazione E484K, capace di eludere parzialmente la protezione vaccinale) preoccupa i governi di tutto il mondo. Tanto che le case farmaceutiche si sono già mosse e stanno studiando una «terza dose» proprio per aumentare la protezione contro le varianti più insidiose. Sembra infatti sempre più probabile l’ipotesi che siano necessari periodici richiami, soprattutto tra gli anziani, la popolazione più fragile, come già succede con l’influenza.

Avere un vaccino efficace al 95% come Pfizer non significa che si ammaleranno 5 persone ogni 100. Il dato di efficacia è relativo alla protezione individuale ed è una cifra probabilistica. Se il vaccino è efficace al 95% ogni individuo che conclude il ciclo vaccinale con quel prodotto ha il 95% in meno di probabilità di essere contagiato ogni volta che viene esposto al virus rispetto a un individuo che non è vaccinato.

 

I VACCINI

Un vaccino a RNA messaggero può alterare il DNA cellulare?

Si, trascrivendo le sequenze virali integrate nel genoma mediante una trascrittasi inversa (t.i.) delle cellule o una t.i. di un HIV e queste sequenze di DNA possono essere integrate nel genoma cellulare e la loro espressione è stata indotta con una infezione da COVID-19 o da una esposizione alla citochine nelle culture cellulari suggerendo un meccanismo molecolare per un retro-integrazione di COVID-19 nei pazienti.


I vaccini AstraZeneca e Reithera consistono in un adenovirus vettore delle spikes del coronavirus. L’AstraZeneca usa un virus dello scimpanzè, mentre la Reithera un virus del gorilla. Gli adenovirus usati non sono contagiosi, il tempo di protezione non è ancora conosciuto.

Il meccanismo mediante cui agisce il vaccino è quello di stimolare la produzione degli anticorpi specifici per se stesso, in modo da neutralizzare l’effetto biologico, cioè contagio ed effetto patologico, sull’organismo ospite. I vaccini più tradizionali sono quelli cinesi e indiani, a virus disattivato, ma anche il vaccino prodotto dai russi utilizza un adenovirus come vettore contenente le istruzioni per produrre la glicoproteina “spike” che permette al virus di legarsi alle cellule umane, che utilizzerà successivamente come fotocopiatrici per creare nuove copie di se stesso. Il nostro sistema immunitario impara a riconoscere la proteina del virus “ibrido” e meno aggressivo, conservando la memoria dell’agente incontrato.

La tecnica di iniettare non un virus ma frammenti di RNA messaggero (mRNA) consiste nell’ utilizzare una molecola speculare all’RNA del virus per la produzione delle proteine costituendi la particella virale che ha il fine di indurre la glicoproteina “spike” del coronavirus, che viene usata per i recettori ACE2 delle cellule bersaglio col fine di produrre questi antigeni nelle nostre cellule mediante l’informazione dell’mRNA. Viene quindi stimolata la produzione di anticorpi specifici come le immunoglobuline nei riguardi di questi antigeni specifici virali per stabilire la immunità del soggetto vaccinato. Si tratta dunque di una nuova terapia genica, mai utilizzata prima d’ora, basata su una molecola che contiene le istruzioni per la sintesi nell’organismo umano di nuove proteine le quali dovrebbero permettere di resistere meglio all’attacco dello stesso virus.

Sappiamo che nel caso di una infezione virale che infetta i linfociti, produttori degli anticorpi, vengono sintetizzate nuove proteine umane chiamate fattori di trascrizione. In altre parole, alcune regioni del genoma del virus si legano al genoma delle cellule umane. Questa unione virale con i fattori di trascrizione umana modificano l’espressione dei geni virali vicini. Si è visto di recente che viene messo in opera un meccanismo di attivazione di alcuni geni umani associati che predispongono al rischio di malattie autoimmuni, come il lupus, la sclerosi multipla, l’artrite reumatoide, le malattie infiammatorie intestinali, il diabete di tipo 1, l’artrite idiopatica giovanile e la malattia celiaca.

Infine, l’editoriale di Peter Doshi sul British Medical Journal è basato su un’attenta analisi dei dati clinici riportati e vale di più di un lavoro presentato per la sua pubblicazione. L’infezione della popolazione è più diffusa di quello che si possa pensare, ecco perché si può parlare di immunità di gregge come traguardo dell’epidemia e della vaccinazione.

In prospettiva la nuova metodologia del vaccino antiCOVID può portare benefici alla ricerca sul cancro e sulla sclerosi multipla, ma non adesso.

 

ATTENTI AL FENOMENO ADE

Bisogna essere molto attenti allo svilupparsi del fenomeno ADE. Si tratta di un’amplificazione infiammatoria della risposta derivata dagli anticorpi. Quindi un’infiammazione dovuta agli anticorpi aumentata in maniera esponenziale, ovvero quando si ha riproduzione di anticorpi su un substrato che gli anticorpi li ha già. In sintesi, se uno ha fatto il COVID, anche accorgendosene, ma soprattutto i famosi asintomatici, determina un’amplificazione della risposta anticorpale.

Secondo i dati del governo inglese, dopo che 20 milioni di persone vaccinate ci sono stati 502 morti, 87387 reazioni e 43 ciechi dal punto di vista medico, senza alcuna differenza tra i vaccini Pfizer / BioNtech e Astrazeneca – 0,00251% di persone morte. I casi che hanno ricevuto un vaccino COVID-19 hanno causato la trasmissione del virus ad altri e dovrebbero continuare a seguire le norme di isolamento, ha detto il vicecapo dell’ufficio medico inglese Van-Tam.

L’uso del vaccino Johnson & Johnson covid-19 è stato sospeso temporaneamente negli Stati Uniti dopo che sei persone hanno manifestato coaguli di sangue, su 6,8 milioni che hanno ricevuto il vaccino nel paese. I casi sembrano essere simili ai rari coaguli di sangue osservati nei destinatari del vaccino Oxford / AstraZeneca, che ha indotto alcuni paesi a limitarne l’uso.

La sindrome del coagulo di sangue coinvolge un tipo insolito di coagulo, spesso uno che si forma nel cervello – chiamato trombosi del seno venoso cerebrale o CVST – accoppiato a bassi livelli di piastrine.

È stato osservato principalmente nelle persone sotto i 60 anni e più spesso nelle donne rispetto agli uomini. Ma la differenza di sesso potrebbe essere dovuta al fatto che più donne sono state vaccinate, in quanto comprendono più operatori sanitari e personale delle case di cura. In un’analisi di 79 casi nel Regno Unito visti dopo il vaccino Oxford / AstraZeneca, si sono verificati con la stessa frequenza in uomini e donne, afferma Munir Pirmohamed, presidente della Commissione britannica sui medicinali per l’uomo. Il tasso complessivo è stato di quattro casi per milione di persone che hanno ricevuto il vaccino nel Regno Unito.

Non è noto il motivo per cui i giovani sembrano più a rischio, ma la distribuzione per età è in parte il motivo per cui alcuni paesi hanno affermato che questo vaccino dovrebbe essere somministrato solo a coloro che hanno superato una certa età. L’altro motivo è che le persone anziane sono più a rischio a causa del covid-19 stesso, quindi il beneficio del vaccino dovrebbe superare il rischio.

I sei casi di CVST recentemente segnalati nei destinatari del vaccino Johnson & Johnson, uno dei quali fatale, erano tutti in donne di età compresa tra i 18 ei 48 anni.

Johnson & Johnson ha ritardato il lancio europeo del suo prodotto. “Abbiamo lavorato a stretto contatto con esperti medici e autorità sanitarie e sosteniamo fortemente la comunicazione aperta di queste informazioni agli operatori sanitari e al pubblico”, ha affermato l’azienda in una nota.

Cosa potrebbe causare i coaguli? Nei casi Oxford / AstraZeneca, molte delle persone colpite sono risultate positive agli anticorpi che si legano a una molecola rilasciata dalle piastrine, chiamata fattore piastrinico 4 o PF4. Il vaccino può in qualche modo innescare la produzione di questi anticorpi, che causano la formazione di più piccoli coaguli nel sangue e che possono consumare le piastrine, afferma Andreas Greinacher dell’Università di Greifswald in Germania. Assomiglia a una sindrome in cui anticorpi simili possono essere attivati ​​dal trattamento per fluidificare il sangue con eparina, dice Greinacher, che è un esperto dell’effetto collaterale dell’eparina.

 

I NUOVI FARMACI SALVAVITA

Abbiamo visto l’importanza dell’uso degli anticorpi monoclonali per neutralizzare l’infezione da COVID-19, anche in questo campo l’Italia sanitaria non è stata all’altezza della situazione sul loro impiego legato a burocrazia ed inefficienza come si era già visto per l’utilizzo della sieroterapia. Finalmente gli antivirali come il Remdesivir hanno trovato spazio, anche se non vi è stata la determinazione dell’uso del diossido di cloro nel trattamento antivirale come nel centro sud America.

Anche l’effetto della Ivermectina è stato riconosciuto come efficace nella risoluzione dei sintomi tra gli adulti con malattia mite, come il farmaco trovato dagli israeliani.

Israele sta sperimentando un farmaco contro il Covid che, alle prime risultanze si dichiara efficace oltre il 90%. Lo scrive la stampa israeliana. L’Ichilov Medical Center di Tel Aviv ha completato con successo gli studi della fase uno del progetto di ricerca su questo nuovo medicinale, che sta dando risposte molto incoraggianti.

Il medicinale ha aiutato numerosi pazienti di Covid, da moderati a gravi, a riprendersi rapidamente dalla malattia. L’ospedale ha annunciato che la sostanza, EXO-CD24 del Prof. Nadir Arber, è stata somministrata a 30 pazienti le cui condizioni erano moderate o gravi, e tutti e 30 si sono ripresi, 29 dei quali entro 3-5 giorni.

Il medicinale combatte la tempesta di citochine, una reazione immunitaria potenzialmente letale all’infezione da coronavirus che si ritiene sia responsabile di gran parte dei decessi associati alla malattia. Usa gli esosomi, minuscole particelle a forma di sacche che trasportano i materiali tra le cellule, per fornire una proteina chiamata CD24 ai polmoni.

“Questa proteina – ha spiegato alla stampa Shiran Shapira del laboratorio di Arber – si trova sulla superficie delle cellule e ha un ruolo ben noto e importante nella regolazione del sistema immunitario, aiutando a calmare il sistema e frenare la tempesta”.

Arber ha spiegato che il preparato viene inalato una volta al giorno per pochi minuti, per cinque giorni, e raggiunge direttamente i polmoni. In questo modo, a differenza di altri preparati, il cocktail israeliano viene somministrato localmente e non comporta effetti collaterali, anche perché non opera ad ampio spettro. Il farmaco passerà ora a ulteriori fasi di sperimentazione, ma i medici parlano di un possibile punto di svolta nella lotta contro il Covid-19.

Per il direttore del centro di ricerca Ichilov, Roni Gamzu, che è stato anche a capo del team governativo sul coronavirus, la ricerca “è avanzata e sofisticata e potrebbe salvare i pazienti con coronavirus. I risultati della sperimentazione di fase 1 sono eccellenti e ci danno fiducia nel metodo che i ricercatori stanno studiando nel nostro laboratorio da molti anni”.

Anche la casa farmaceutica americana Pfizer, che produce il vaccino anti-COVID più richiesto, sta saggiando un farmaco da assumere per via orale, un inibitore delle proteasi.

Ad annunciarlo in una nota è la stessa casa farmaceutica americana che ha chiarito che “il candidato clinico è un antivirale orale (PF-07321332), un inibitore della proteasi SARS-CoV2-3CL, che ha dimostrato una potente attività antivirale in vitro contro SARS-CoV-2, nonché attività contro altri coronavirus, suggerendo un potenziale utilizzo nel trattamento di COVID-19 e potenziale utilizzo per affrontare future minacce di coronavirus”.

Gli inibitori della proteasi sono stati efficaci nel trattamento di altri patogeni virali come l’HIV e il virus dell’epatite C, sia da soli che in combinazione con altri antivirali. Le terapie attualmente commercializzate che prendono di mira le proteasi virali non sono generalmente associate a tossicità e come tale, questa classe di molecole può potenzialmente fornire trattamenti ben tollerati contro COVID-19.

 

ALTRI QUESITI FREQUENTI

Il non vaccinato non corre rischi se mantiene un normale profilo igienico. Il vaccinato con vaccini a RNA messaggero può essere veicolo di contagio finché produce i primi anticorpi dal momento che potrebbe essere già infetto da qualcuno dei 4 coronavirus umani benigni e quindi replicare il vaccino ricevuto prima di produrre gli anticorpi specifici che gli permetteranno di renderlo immune al Covid-19 fino alla durata di almeno dodici mesi dalla prima somministrazione. Nel caso di vaccinazione con vaccino vettore di adenovirus e del gene portatore della proteina spike, nessun pericolo per il convivente non vaccinato.

Dal momento che i giovani hanno una loro risposta immunologica nei riguardi di questa epidemia da COVID-19, è sufficiente non creare la “tempesta delle interleuchine” degli adulti ed anziani, nei riguardi dello stesso agente.

Pertanto la loro vaccinazione è pressocchè inutile anche perchè giungono recenti studi americani riguardanti la possibilità di miocarditi o addirittura di sindrome di Kawasaki.

Le varianti virali del virus sono una naturale risposta di questo agente nei riguardi dell’organismo ospite con cui stabilisce un rapporto di “convivenza”.

L’inizio delle vaccinazioni con l’8 dicembre 2020 nel Regno Unito ha portato ormai ad oltre 60milioni di soggetti vaccinati indipendentemente dalla possibilità di nuove varianti che certamente possono formarsi, ma i nuovi vaccini soprattutto quelli a RNA messaggero sono in grado con la modulazione creata dalle case produttrici di controllarle. Pertanto è sufficiente un ulteriore richiamo per evitare una nuova ondata epidemica.

Il fine delle vaccinazioni è quello di rendere immune il soggetto vaccinato nei riguardi dell’agente epidemico circolante.


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