FIRMA ANCHE TU PER CHIEDERE AI PARLAMENTARI EUROPEI DI NON RATIFICARE LA DIRETTIVA SUL COPYRIGHT CHE DISTRUGGERÀ LA RETE: https://www.byoblu.com/firma-per-evitare-la-distruzione-di-internet/
SCARICA QUESTA CONTRORASSEGNA E RICARICALA SUI TUOI SOCIAL OPPURE INVIALA VIA WHATSAPP A TUTTI I TUOI AMICI. PUOI SCEGLIERE TRA LA VERSIONE HD O QUELLE IN BASSA RISOLUZIONE, ADATTE AL TUO SMARTPHONE: https://www.byoblu.com/preleva-e-diffondi-la-controrassegna-blu/
Mancano 12 giorni alla distruzione della rete per come la conosciamo. Firma adesso …o mai più!
Sta succedendo qualcosa, qualcosa che forse non tutti sanno, e non lo sanno perché quelli che dovrebbero informarli sono interessati a mantenere un basso profilo. Qualcosa riguarda internet e le nostre libertà. Siamo ormai abituati agli attacchi alla rete che arrivano dal nostro Parlamento, il Parlamento italiano, ma questo viene da molto, molto più in alto. Per la precisione, dal Parlamento europeo.
Ieri la Commissione Affari Legali del Parlamento europeo, dopo 21 mesi di discussioni sulla legge sul Copyright, era chiamata a decidere: se accettare la cosiddetta versione del piano Oettinger/Voss, ovvero quella della tassazione sui link e sulla censura preventiva, oppure la versione più ragionevole di buon senso dell’eurodeputato dei verdi tedeschi Julia Reda. E, manco a dirlo, ha votato per l’alternativa di Oettinger/Voss, Oettinger era quello, tutti lo ricorderete, che disse che i mercati avrebbero insegnato all’Italia come votare.
Cosa significa? Significa che se il 4 di luglio il Parlamento europeo riunito in plenaria a Strasburgo, stante il parere favorevole di ieri della Commissione, dovesse votare per la ratifica di questa legge sul Copyright, beh! Da quel momento in poi, se caricherete un contenuto vostro sul web, potreste incorrere in spiacevoli messaggi come: “non avete una licenza per questa regione, per questo contenuto”, oppure il caricamento è stato disabilitato perché “le probabilità di violazione del copyright sono elevate”, o che “è necessario attendere mentre le foto delle vostre vacanze vengono caricate, perché prima devono essere confrontate con tutto lo scibile umano degli scatti fatti dai detentori dei diritti”. A questo potrebbe ridursi il dibattito in Rete!
Prendiamo ad esempio l’articolo 11, che instaura la cosiddetta “tassa sui link”. Non stiamo parlando, a scanso di equivoci di film o di canzoni o di interi libri, ma stiamo parlando del testo che, citato testualmente si riferisce, “anche ai più piccoli frammenti di articoli contenenti notizie”, che “devono avere una licenza”. Avete presente quel piccolo testo di anteprima che appare a fianco o sotto a un link, in mancanza del quale nessuno sano di mente si sogna di cliccare? Ecco, anche quello dovrebbe disporre di un’adeguata licenza!
Ieri la Commissione Affari Legali del Parlamento europeo, dopo 21 mesi di discussioni sulla legge sul Copyright, era chiamata a decidere: se accettare la cosiddetta versione del piano Oettinger/Voss, ovvero quella della tassazione sui link e sulla censura preventiva, oppure la versione più ragionevole di buon senso dell’eurodeputato dei verdi tedeschi Julia Reda. E, manco a dirlo, ha votato per l’alternativa di Oettinger/Voss, Oettinger era quello, tutti lo ricorderete, che disse che i mercati avrebbero insegnato all’Italia come votare.
Cosa significa? Significa che se il 4 di luglio il Parlamento europeo riunito in plenaria a Strasburgo, stante il parere favorevole di ieri della Commissione, dovesse votare per la ratifica di questa legge sul Copyright, beh! Da quel momento in poi, se caricherete un contenuto vostro sul web, potreste incorrere in spiacevoli messaggi come: “non avete una licenza per questa regione, per questo contenuto”, oppure il caricamento è stato disabilitato perché “le probabilità di violazione del copyright sono elevate”, o che “è necessario attendere mentre le foto delle vostre vacanze vengono caricate, perché prima devono essere confrontate con tutto lo scibile umano degli scatti fatti dai detentori dei diritti”. A questo potrebbe ridursi il dibattito in Rete!
Prendiamo ad esempio l’articolo 11, che instaura la cosiddetta “tassa sui link”. Non stiamo parlando, a scanso di equivoci di film o di canzoni o di interi libri, ma stiamo parlando del testo che, citato testualmente si riferisce, “anche ai più piccoli frammenti di articoli contenenti notizie”, che “devono avere una licenza”. Avete presente quel piccolo testo di anteprima che appare a fianco o sotto a un link, in mancanza del quale nessuno sano di mente si sogna di cliccare? Ecco, anche quello dovrebbe disporre di un’adeguata licenza!
Ma sentite cosa dice l’articolo 13. “Le piattaforme online sono responsabili per le violazioni del copyright dei loro utenti” e “devono in ogni caso implementare filtri preventivi sugli upload”. Significa che gli algoritmi rigetteranno a priori qualunque contenuto che “potrebbe” violare il copyright, prima ancora che appaia online. Ma gli algoritmi non sono immuni ai falsi positivi e non possono certamente distinguere gli usi ammissibili, come le parodie, i meme, il diritto di critica… Non c’è nessuna concessione al concetto stesso di “Fair Use”. Ecco, ad esempio sarà impossibile pubblicare la foto di chicchessia con una scritta sotto, appunto i meme, a meno che quella foto non l’abbiate scattata voi stessi, e anche così sarete comunque giudicati “colpevoli” a meno che non vi dimostriate “innocenti” e non conduciate lunghe battaglie per riportare online i vostri contenuti. Anche questa ControRassegna diventerà impossibile da realizzare, a meno che di non tagliare qualunque immagine e di non trasformarsi in un grande media televisivo. E chissà, se questa legge dovesse essere retroattiva, chissà quanti canali, a milioni verranno oscurati nei prossimi mesi. Inoltre, chi è che ne trarrà vantaggio? Non tanto gli editori, come ci si potrebbe aspettare, perché già analoghe leggi in Spagna e in Germania hanno dimostrato che questa politica porta, in realtà, a un calo delle letture e degli articoli. Invece, andrà bene per chi ha i mezzi e le tecnologie per implementare questi potenti algoritmi, questi filtri. Chiaramente parliamo di Google e Facebook, mentre tutte le altre piattaforme dovranno disabilitare la possibilità di caricare anche dei semplici link. Quindi i monopolisti diventeranno ancora più monopolisti.
Tim Berners-Lee, l’inventore del World Wide Web, ha dichiarato che questo è “un passo senza precedenti verso la sorveglianza e il controllo automatizzati”. E perfino il relatore alle Nazioni Unite che si occupa della libertà di opinione e di espressione, ha detto che andiamo verso una “censura preventiva” che “restringerà la libertà di espressione”.
Ho chiesto a Guido Scorza, avvocato esperto di questioni della Rete e che i lettori di byoblu.com conoscono bene, di esprimere le sue considerazioni. Eccole:
Tim Berners-Lee, l’inventore del World Wide Web, ha dichiarato che questo è “un passo senza precedenti verso la sorveglianza e il controllo automatizzati”. E perfino il relatore alle Nazioni Unite che si occupa della libertà di opinione e di espressione, ha detto che andiamo verso una “censura preventiva” che “restringerà la libertà di espressione”.
Ho chiesto a Guido Scorza, avvocato esperto di questioni della Rete e che i lettori di byoblu.com conoscono bene, di esprimere le sue considerazioni. Eccole:
Alcune delle norme contenute nella proposta di direttiva approvata ieri dalla Commissione Giuridica del Parlamento europeo sono pensate male e scritte peggio, in maniera sciatta, approssimativa, di difficile applicazione. È una classica norma contro: è stata scritta pensando a Google e soci. Ma dovrà trovare necessariamente applicazione nei confronti di tutti, anche della più piccola delle start up. Si consegna a Google e soci il compito di decidere quali contenuti possono restare on line e quali, viceversa, potranno essere rimossi. Ed è esattamente quello che succederà, perché saranno loro a decidere quando rischiare una causa per violazione del diritto d’autore e quando non rischiarla. La rischieranno quando l’utente ha le spalle larghe e non la rischieranno quando l’utente non ha le spalle larghe. Ci sarà meno libertà d’informazione per tutti. La partita è ancora aperta, in Parlamento si vota probabilmente il 4 luglio: parliamone, parliamone, parliamone!
E allora parliamone! In Rete ci sono già oltre 50 mila tweet con l’hashtag #SaveYourInternet. E non è un caso se proprio il 4 di luglio viene già considerato Il Giorno dell’Indipendenza della Rete. Cosa possiamo fare? Beh! Innanzitutto far sapere agli eurodeputati, che voteranno il 4 di luglio a Strasburgo che noi il piano Oettinger non lo vogliamo. Byoblu si è già attrezzato con la sua raccolta firme, e gliela faremo avere. E allora guardate questo video, ricondividetelo, scaricatelo, ricaricatelo sui vostri profili e, mi raccomando, firmate e fate firmare. Forse non servirà a niente, ma ricordatevi che non si può mai sapere qual è la goccia che alla fine fa traboccare il vaso.
USA: Bambini in gabbia… da vent’anni
Scandalo mondiale per le famiglie di immigrati che in USA vengono separate al confine. Ma è proprio tutta colpa di Trump? Vediamo com’è andata davvero.
E’ su tutti i giornali: non si parla che della discutibile legge americana che divide le famiglie di immigrati che passano il confine, e relega i minori in apposite “gabbie” per mantenerli separati dagli adulti. Visto che tale spietata prassi sta facendo inorridire il mondo intero, proviamo a fare una breve ricostruzione della sua storia. Le origini risalgono all’ormai lontano 1997, quando alcuni attivisti dei diritti umani fecero ricorso in tribunale contro la detenzione comune degli immigrati clandestini minorenni insieme agli adulti. Nacque così il “Flores settlement”, che stabiliva come i bambini -accompagnati o meno- dovessero godere di trattamenti particolari e cure a loro riservate, e quindi tenuti in aree apposite separate da quelle degli adulti. In seguito, l’amministrazione Bush indurì pesantemente la politica di detenzione e respingimento degli immigrati, trasformando i centri di “accoglienza” in veri e propri sistemi carcerari, dove i bambini dovevano addirittura indossare le divise arancioni dei detenuti. Come racconta il New York Times, poi, l’amministrazione Obama abolì i centri di detenzione familiari nel 2009 per ripristinarli però in tutta fretta nel 2014, in seguito ad un aumento dei flussi immigratori. Il Times in un lungo articolo del 2015 corredato di fotografie racconta proprio la tragica esistenza di bambini e donne in questa sorta di lager. E proprio a quel periodo risalgono molte delle immagini che vediamo oggi sui media, come denuncia anche l’inglese Independent: ad esempio, il video di questi bambini che dormono nelle gabbie risale a 4 anni fa, il 2014, quando Obama era presidente.
Ciò significa che Trump è innocente? Nessuno lo è, quando si tratta di maltrattamenti agli innocenti: Trump infatti non aveva fatto nulla in proposito, fino a oggi, quando è stato costretto a firmare per porre fine a questa odiosa prassi. Prassi che è colpa, però, di molti governi americani, e non solo il suo.
Ciò significa che Trump è innocente? Nessuno lo è, quando si tratta di maltrattamenti agli innocenti: Trump infatti non aveva fatto nulla in proposito, fino a oggi, quando è stato costretto a firmare per porre fine a questa odiosa prassi. Prassi che è colpa, però, di molti governi americani, e non solo il suo.
Toscani, i Benetton, i migranti e i Mapuche
Oliviero Toscani ne ha combinata un’altra delle sue: ha usato un’immagine di migranti su un gommone per una pubblicità Benetton. Toscani, che è molto attivo sui social per le sue idee a favore dell’immigrazione, con questa iniziativa ha provocato una valanga di polemiche: non solo, come prevedibile, ha protestato il ministro Salvini, ma persino la ONG proprietaria dell’immagine si è detta scandalizzata per l’uso commerciale di persone in difficoltà.
Ma Toscani e Benetton non sono nuovi a questo genere di provocazioni: qualcuno infatti ricorderà un altro scatto pubblicitario che fece scalpore nel 1991: ritraeva il barcone dei primi emigranti dall’Albania. Intanto, molti utenti in Rete annunciano il boicottaggio dei prodotti Benetton, per protesta contro tali prese di posizione politiche. Ma forse, ancora più opportuno sarebbe un boicottaggio contro l’ipocrisia: i paladini dei diritti umani Benetton, infatti, nel 1991 hanno acquistato 900 mila ettari in Patagonia, scacciandone la tribù India dei Mapuche che aveva la sfacciataggine di voler continuare a vivere dove risiede da sempre. I Mapuche, che non si sono arresi, combattono per la loro terra da quasi trent’anni: sicuramente i Benetton si augurano che, un bel giorno, si decidano tutti ad emigrare.
Ma Toscani e Benetton non sono nuovi a questo genere di provocazioni: qualcuno infatti ricorderà un altro scatto pubblicitario che fece scalpore nel 1991: ritraeva il barcone dei primi emigranti dall’Albania. Intanto, molti utenti in Rete annunciano il boicottaggio dei prodotti Benetton, per protesta contro tali prese di posizione politiche. Ma forse, ancora più opportuno sarebbe un boicottaggio contro l’ipocrisia: i paladini dei diritti umani Benetton, infatti, nel 1991 hanno acquistato 900 mila ettari in Patagonia, scacciandone la tribù India dei Mapuche che aveva la sfacciataggine di voler continuare a vivere dove risiede da sempre. I Mapuche, che non si sono arresi, combattono per la loro terra da quasi trent’anni: sicuramente i Benetton si augurano che, un bel giorno, si decidano tutti ad emigrare.
Basilicata: addio parco, arriva la centrale
“Così muore la bellezza”, questo è il drammatico titolo che usa il giornale online Basilicata24. Non avremmo saputo dire meglio per descrivere cosa sta accadendo ad Oppido Lucano, dove si devasta un parco archeologico per fare posto ad una centrale eolica. Oppido Lucano conserva preziosi tesori venuti alla luce nel corso di importanti scavi archeologici, reperti di una necropoli risalente al VI e IV secolo a. C., e inoltre vanta un paesaggio splendido e tipico della terra lucana. Qualche sacrificio si deve pur fare in nome dell’energia pulita, qualcuno commenterà. Sì: ma si tratta davvero di energia pulita? Oppure del solito business, in una zona dove c’è poco vento ma molti incentivi? Peggio ancora, sembra che in tale business siano coinvolte società intrecciate in tante scatole cinesi ma che di cinese hanno proprio poco, visto che sono tutte tedesche. Intanto, guardate il video: questo è ciò che sta accadendo nella terra dei lucani, cioè nella nostra terra. Ci auguriamo che non debba finire così.
Julian Assange: da 6 anni rinchiuso, per aver detto sempre la verità
19 giugno 2018: sono trascorsi 6 lunghissimi anni da quando Julian Assange è entrato nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra, e non ne è più uscito. Come ogni anno, anche stavolta tanti attivisti si sono riuniti sotto l’ambasciata ecuadoregna per chiedere la “liberazione” del giornalista più famoso del mondo. Ma liberazione da cosa, da chi? Julian è entrato spontaneamente nella sua prigione, anzi “spintaneamente”: spinto dalla Svezia, con le sue inchieste su presunte molestie poi rivelatasi mai avvenute; da gli USA, dove Hillary Clinton chiese “ma non potremmo semplicemente mandargli un drone”?; l’Inghilterra, le cui spie brulicano nei dintorni del rifugio di Assange; e persino l’Ecuador, che gli ha offerto asilo e poi l’ha tagliato fuori dal mondo. D’altronde lo stesso Dipartimento di Stato USA lo considerava il più pericoloso dei reporter, e come racconta John Pilger aveva progettato di distruggerne l’immacolata reputazione. Reputazione che gli ha consentito, tra le mille rivelazioni, anche di esporre i legami tra la Fondazione Clinton, l’Arabia e il Qatar. Cosa sarà di Julian Assange? Non si sa. Ma l’australiano ha di certo ancora molte frecce al suo arco, ovvero documenti riservati e scottanti. Qualcuno chiede per lui un perdono da parte di Trump: e se dovesse arrivare, saranno in parecchi a tremare.
Greenpeace: caccia alla plastica in mare
Oggi comincia l’estate, e già tira aria di vacanze. Non vediamo l’ora di sdraiarci in spiaggia… ma riusciremo ad essere davvero spensierati, sapendo che ogni minuto si sversa in mare l’equivalente di un camion di plastica? Certo che no! Per tutti i “preoccupati dell’ambiente”, allora, Greenpeace lancia l’iniziativa giusta: Plastic Radar. Un numero speciale whatsapp dove inviare foto e localizzazione della plastica che avvistiamo in mare e sulle spiagge. Greenpeace userà tutte le nostre segnalazioni per le ricerche sulla tipologia di plastiche reperibili su fondali e spiagge, ma soprattutto per individuare i marchi più responsabili dell’inquinamento. Potrete poi seguire sul sito i progressi in tempo reale e vincere premi: insomma un giochino estivo, ma che ha una sua utilità per comprendere cosa succede all’ambiente. Però ricordatevi anche di gettare nei cestini i rifiuti in plastica dopo averli fotografati… altrimenti sarà come svuotare il mare con un colino!
Fonte: www.byoblu.com