“Il mondo occidentale è sotto ipnosi”, conclude salutandomi. Parlare con Oliver Stone è un’esperienza intensa. Dice di apprezzare il dibattito, ma le sue opinioni sono assolute. Dall’inizio della sua carriera, dal primo Oscar per l’adattamento di Fuga di mezzanotte nel 1979, il regista ormai 76enne ha scritto e diretto film, serie televisive e documentari che raccontano in un modo o nell’altro la realtà e la storia dei nostri tempi.
Lo abbiamo incontrato ad Ostuni, dove è stato ospite dell’Allora Fest: torna sempre volentieri in Italia, e questa volta ha anche salutato Francis Ford Coppola nella sua Bernalda prima di ripartire e tornare al lavoro. “Non mi capita mai di non fare assolutamente niente” racconta fra lo stupito e l’irrequieto, “l’unica preoccupazione qui è cosa si mangia oggi”.
In realtà il regista premio Oscar per JFK non smette mai di leggere, gira con due libri sulla dinastia dei Kennedy, “tanti particolari inediti”, mi dice, “interessanti”. Ma come lavora, gli chiedo, prende appunti? “I libri che leggo sono pieni di annotazioni”, mi risponde sfogliandoli. Un nuovo film sui Kennedy? Insinuo. “Chissà”, mi risponde criptico.
Di sicuro Oliver Stone ha un progetto pronto che gli sta molto a cuore, sull’energia nucleare, lo vorrebbe portare a Venezia. “Ci ho lavorato per due anni, ho parlato con molti scienziati, sono stato in diversi Paesi, la Francia produce parecchia energia nucleare, l’Italia sfortunatamente ha smesso. La Russia ci sta lavorando molto, come la Cina, gli Stati Uniti hanno programmi molto innovativi nella produzione della nuova energia nucleare. Vorremmo incoraggiare la gente a crederci e costruire nuovi reattori velocemente perché non andiamo da nessuna parte solo con le energie rinnovabili”.
A Ostuni Oliver Stone ha voluto ripresentare il suo film W, del 2008, sul presidente George W. Bush: gli chiediamo perché proprio quello fra i tanti. “Perché segna un momento decisivo della storia americana. Quando Donald Trump era presidente, la gente diceva ‘è il peggiore presidente degli Stati Uniti’ e io rispondevo: ‘mettete le cose in prospettiva’. Cosa ha fatto Trump a paragone di quello che ha fatto Bush al paese e alla Costituzione? Non solo è andato in guerra in Iraq senza il permesso delle Nazioni Unite, illegalmente, ma ha anche creato prigioni segrete, campi di detenzione, Guantanamo, intercettato praticamente l’intera popolazione americana.
Crimini per i quali sarebbe dovuto finire in cella insieme a Dick Cheney e Rumsfeld. Ma L’America perdona e dimentica. Nel mio film i dialoghi sono basati su frasi che Bush ha detto veramente, magari non le ha dette in quel luogo e in quel momento, ma le ha dette. E sono frasi incredibili. Questi personaggi siedono intorno a un tavolo e decidono il destino del mondo come se fosse tutto sotto il loro controllo. Ci dobbiamo veramente chiedere come questo Paese, con questa leadership, e questo sistema elettorale elegga i suoi rappresentanti”.
Lei ha detto che quel momento è stato decisivo. Perché?
“L’America ha stabilito la tonalità della guerra. Andiamo in guerra in qualsiasi circostanza ci sembri importante per noi. In Iraq, in Afghanistan.
Abbiamo dichiarato guerra al terrore ed è stato un assoluto disastro in termini di morti in tutto il mondo, abbiamo portato tensione e militarizzazione in così tanti Paesi in Medioriente e Asia ma continuiamo, e ora combattiamo contro la Russia. Questa è una guerra provocata, la Russia è stata provocata a invadere, è quello che volevamo e ha funzionato.
Gli Stati Uniti sentono di avere il diritto di dire al resto del mondo cosa deve fare. Lo chiamiamo ‘ordine internazionale’. Peraltro il comparto militare assorbe più del 50% del nostro denaro. Non ci prendiamo cura della popolazione perché dobbiamo pagare la militarizzazione della nostra società, che è aumentata con la National Security, e le agenzie di intelligence. È un business enorme e difficile da fermare, solo un presidente forte come Kennedy ce la farebbe. Bisognerebbe farlo e cercare di non farsi assassinare”.
Ha parlato della guerra in Ucraina: lei ha avuto modo di incontrare a lungo Putin e intervistarlo. Che idea se ne è fatto?
“L’ho intervistato, gli ho fatto delle domande che non gli vengono fatte di solito e lui ha risposto, non l’ho giudicato, né ho preso posizione, ho cercato di permettere allo spettatore di farsi una sua idea del personaggio e ho cercato di entrare nella sua testa, perché sono un drammaturgo. Cosa fa un drammaturgo? Cammina nelle scarpe delle persone che racconta. Pensa che mi piaccia George Bush Jr. o Richard Nixon? No, sono stati deleteri per il Paese, ma ho fatto dei film su di loro perché volevo saperne di più. Nello stesso modo faccio i documentari. Non conosco la storia vera di quello che succede in Russia, nessuno lo sa veramente, eccetto i coinvolti. Il Cremlino è un posto interessante ma molto complicato”.
Cosa vede nel suo futuro?
“Ho un progetto cinematografico, e voglio scrivere la seconda parte del mio memoir, Cercando la luce. È stato un viaggio catartico, un modo per comprendere la mia vita. Ho raccontato i miei primi quarant’anni, fino a quando ho fatto Platoon nel 1986, ora ci sono gli altri 35. Tante cose belle e molte delusioni. Ma ho imparato tanto e non vedo l’ora di condividerlo con il mondo”.