Il caso Orlandi non avrà mai pace, finché chi sa non si deciderà a parlare. Non solo il Vaticano, ma anche la procura della Repubblica di Roma ha le sue colpe. Non si doveva archiviare l’inchiesta proprio nel momento in cui la magistratura stava per ottenere il dossier custodito al di là del Tevere. Le nuove rivelazioni del giornalista Fittipaldi aprono interrogativi sia che risultino veritiere come pure no. Fossero costruite ad hoc, chi vorrebbero colpire? Il portavoce di papa Francesco Greg Burke ha definito la documentazione “falsa e ridicola”. Mi sento di affermare che sussistono elementi ancora più gravi delle nuove presunte rivelazioni. Esempio: non appaiono false né ridicole le confidenze fatte a Pietro Orlandi da Paolo Gabriele, l’ex maggiordomo di Ratzinger, che avrebbe visto il dossier di Emanuela sulla scrivania di padre George. Ancora più sconcertante apparirebbe quanto confidato al fratello di Emanuela dal segretario di Stato Parolin, quando poco tempo fa gli ha sussurrato che lo stesso Papa ritiene il caso “troppo grave” per renderlo pubblico. Pietro è uscito dall’incontro sgomento. Quelle parole confermano che di sua sorella si sa, ma non se ne può parlare. Ecco perché la famiglia ha presentato un’istanza al Vaticano per un’audizione proprio con Parolin. Si renderà disponibile a testimoniare? Secondo me per essere sincero il cardinale ha peccato di ingenuità. Una cosa è certa: il dossier esiste. Infatti nel film da me diretto “La verità sta in cielo” riproduco per intero l’intercettazione del 12 ottobre 1983, in cui il vicecapo della vigilanza vaticana Raoul Bonarelli riceve l’ordine di non riferire ai magistrati italiani il possesso della documentazione su Emanuela “andata alla segreteria di Stato”.
Se il Vaticano dunque sa, il comportamento della procura romana non è da meno. Nella sequenza finale del film descrivo un fatto inedito: l’incontro tra il magistrato incaricato dell’inchiesta e un alto prelato, finalizzato alla consegna del dossier Orlandi in cambio della rimozione della salma del boss Enrico De Pedis dalla basilica di S. Apollinare, la cui sepoltura stava creando grave imbarazzo al Vaticano. Abbiamo ragione di credere che il magistrato in questione fosse Giancarlo Capaldo, il quale si è rifiutato di firmare la richiesta di archiviazione da parte del suo capo Giuseppe Pignatone. Non sappiamo chi fosse il prelato, anche se c’è ragione di credere che fosse proprio padre Georg. Nessuno, né alla procura né in Vaticano ha smentito tale sequenza, né potrebbero farlo: abbiamo prove inoppugnabili. Dunque perché l’archiviazione? Non voglio credere che siano fondate le parole della moglie Di Pedis confidate al telefono a Don Piero Vergari, il prete che ne ha proposto la sepoltura in chiesa. Le riproduco come da intercettazione: “il procuratore nostro sta archiviando tutto, è roba di pochi giorni, eh don Piè, resista!”. In una successiva intercettazione, la donna sottolinea con soddisfazione che il procuratore aggiunto Capaldo “è stato cacciato via… Pignatone sta facendo una strage ed era ora!”. E aggiunge che è stato fatto fuori anche il responsabile della squadra mobile Vittorio Rizzi, anche lui a capo dell’inchiesta. Sorprende che, in un periodo in cui le indagini erano ancora in corso (siamo nel 2012), la moglie di De Pedis conoscesse l’esito finale dell’archiviazione con un anticipo di ben 3 anni. È la prova che i corvi romani continuano a volare sopra le teste degli innocenti? In mezzo a tanta melma, la realtà traspare: lo stesso papa Francesco, pur così coraggioso, è costretto al silenzio. La scomparsa di Emanuela è chiaro che concerne alcuni collaboratori di Wojtyla. Non si possono rendere pubblici gli intrighi dell’entourage di un pontefice che è stato appena fatto santo? Pare senza grande convinzione da parte dello stesso Bergoglio. Se potessi dare un consiglio rivolgerei un appello: il caso Orlandi continuerà a perseguitarvi. Per il buon nome della Chiesa e della nostra magistratura, abbiate il coraggio della verità. Vedrete che alla fine sarete ripagati più della menzogna e del silenzio.