Ludovica Eugenio – 41069 ROMA-ADISTA. «La nostra partecipazione a questo tavolo per parlare insieme di prevenzione degli abusi è una pagina nuova che si apre nella prospettiva di un cammino consapevole in sinergia, volto a costruire una comunità educante e sicura»: così ha esordito mons. Stefano Russo, segretario generale della Conferenza episcopale italiana (Cei), a un incontro dell’Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pedopornografia minorile, organismo statale istituito presso il Dipartimento per le politiche della famiglia, il 5 maggio; incontro svoltosi alla presenza della ministra per le pari Opportunità e la Famiglia, Elena Bonetti, durante il quale è stato approvato il “nuovo Piano nazionale di prevenzione e contrasto dell’abuso e dello sfruttamento sessuale minorile” e che ha svelato, così, con l’ingresso della Cei in un’istituzione dello Stato, la strategia dei vescovi per fare fronte alla questione improcrastinabile degli abusi nella Chiesa.
Tutto bene? No. La netta impressione è che la Cei voglia minimizzare la suddetta questione aderendo a una operazione preventiva che non prevede, come prerequisito, una rigorosa indagine sul pregresso: «Alla Chiesa che è in Italia – afferma il segretario Cei – stanno a cuore la sicurezza e la salvaguardia dei piccoli e dei vulnerabili. Ci adoperiamo a ogni livello per una responsabilizzazione attiva, avviando una serie di misure, di prassi e di attività formative, volte a contrastare possibili abusi in ambito ecclesiastico». “Possibili”, quindi non riconosciuti come reali. La Chiesa italiana, insomma, sembra prendere le distanze dalla piaga sistemica che la abita, e non è certamente un buon segnale.