Tomasz Kot, star del film candidato all’Oscar Cold War, sarà il celebre inventore Nikola Tesla in un biopic intitolato Nikola. Il film è stato scritto da Anand Tucker, produttore de La ragazza con l’orecchino di perla e regista di Una proposta per dire sì. Il biopic si concentrerà sulla carriera e le ambizioni scientifiche di Tesla, senza trascurare i suoi problemi finanziari e demoni personali.
Di origine serba, ma nato in un villaggio situato nella moderna Croazia quando ancora era parte dell’impero austro-ungarico, Tesla si trasferì negli Stati Uniti nel 1884 e fu in seguito naturalizzato americano. In poco tempo divenne uno dei più importanti pionieri della moderna industria elettrica e della comunicazione wireless.
Nikola sarà prodotto da Daria Jovicic, che insieme a Tucker ha prodotto La ragazza con l’orecchino di perla, Senza apparente motivo e Le due vie del destino. Le riprese dovrebbero partire in autunno.
LA PAROLA AI PRODUTTORI
“Nikola Tesla è stato una delle menti più influenti e importanti all’alba del Ventesimo Secolo”, ha detto Tucker. “In molti sensi ha creato il nostro mondo moderno, con le sue auto elettriche, la connettività istantanea attraverso internet e la comunicazione globale. Era anche un essere umano profondamente complesso e straordinario. Tomasz è un attore raffinato, e quando ho visto la sua straordinaria performance in Cold War non ho più avuto dubbi su chi avrebbe dovuto interpretare Tesla”.
“Siamo oltremodo felici di avere Tomasz a bordo”, aggiunge Daria Jovicic. “È l’attore perfetto per il ruolo e siamo felici di poter lavorare insieme per portare in vita la fantastica sceneggiatura di Anand”.
NIKOLA TESLA AL CINEMA
Tesla è apparso già svariate volte al cinema. Lo ricordiamo interpretato da David Bowie in The Prestige di Christopher Nolan. Lo rivedremo, con il volto di Nicholas Hoult, in Edison – L’uomo che illuminò il mondo (dal 18 luglio in Italia). E infine, Ethan Hawke lo interpreterà nel biopic Tesla di Michael Almereyda.
Indigo Technologies è una piccola azienda del Massachusetts (Stati Uniti) con una grande ambizione: cambiare il modo in cui funzionano le automobili elettriche, per renderle ancora più efficienti. Il suo fondatore, Ian Hunter, ha progettato e realizzato un motore elettrico che può essere inserito direttamente all’interno di ogni ruota, consentendo di ridurre i consumi e di aumentare l’affidabilità dei veicoli, grazie alla minore complessità della meccanica. Come
raccontaun articolo dell’Economist, Hunter non è il primo ad avere pensato a ruote motorizzate, ma la sua soluzione sembra essere più promettente dei prototipi circolati finora, che hanno fallito nel risolvere alcuni dei problemi tecnici e pratici.
La storia dell’automobile elettrica è molto più antica di quanto si possa immaginare. All’inizio del Novecento la possibilità di impiegare l’elettricità per muovere i veicoli era stata ampiamente esplorata, con sistemi all’avanguardia per l’epoca. All’Esposizione di Parigi del 1900, per esempio, l’ingegnere tedesco Ferdinand Porsche (il fondatore dell’azienda automobilistica Porsche) presentò un’auto che aveva un motore elettrico incorporato in ciascuna delle due ruote anteriori. In questo modo, aveva spiegato Porsche, erano stati esclusi componenti meccanici come cinghie di trasmissione e ingranaggi, rendendo più semplice la manutenzione.
La Lohner-Porsche poteva raggiungere i 35 chilometri orari e aveva un’autonomia di circa 50 chilometri. Era alimentata da batterie al piombo, non molto diverse da quelle che sono utilizzate ancora oggi nelle automobili per alimentare i loro circuiti elettrici. Come altri produttori di auto, alla fine anche Porsche decise di abbandonare la strada dell’elettrico, affidandosi ai motori a combustione interna che offrivano maggiore autonomia e flessibilità.
(Porsche)
Nei quasi 120 anni successivi, comunque, altri produttori e progettisti valutarono la possibilità di produrre automobili elettriche con i motori inseriti direttamente nelle ruote, sfruttando naturalmente soluzioni più moderne e pratiche della Lohner-Porsche. Prima o poi tutti dovettero fare i conti con alcune complicazioni, che finora non hanno permesso a questa tecnologia di diffondersi, o per lo meno di essere sperimentata con maggiore continuità dai produttori di automobili.
Un primo problema è che trasferire il motore dall’interno dell’auto alla ruota comporta una maggiore esposizione alle intemperie e agli agenti esterni. I componenti devono quindi essere ben isolati, per evitare che polvere e detriti possano compromettere il funzionamento del motore, o che l’acqua causi cortocircuiti. L’altro problema è legato al fatto che i motori appesantiscono le ruote, facendo aumentare la massa dell’auto che non può beneficiare della presenza degli ammortizzatori. Le ruote più pesanti fanno sì che il viaggio per gli occupanti dell’auto risulti meno confortevole e che l’auto stessa sia più difficile da governare.
Questi e altri ostacoli hanno fatto sì che finora i produttori di automobili elettriche abbiano imitato schemi e concezioni già applicate per le auto tradizionali. Di solito il motore elettrico è collocato nella parte frontale o posteriore (in alcuni casi i motori sono due, uno davanti e uno dietro) ed è poi collegato alle ruote, tramite un sistema per la trasmissione del movimento e per poter sterzare. La quantità di componenti meccanici è enormemente inferiore rispetto a quella delle auto tradizionali, ma ci sono comunque di mezzo diverse cose che potrebbero rompersi.
Indigo dice di avere risolto questi problemi grazie a T1, il suo sistema da inserire nelle ruote e che non è semplicemente un motore elettrico. Oltre a fornire il movimento, l’apparato comprende freni, un sistema attivo di sospensioni e uno per sterzare, riducendo al minimo le componenti meccaniche necessarie per realizzare l’auto.
La maggior parte dei problemi elettrici è stata risolta impiegando un motore che funziona a 48 volt, a fronte dei 400 utilizzati nella maggior parte delle attuali automobili elettriche. Questa scelta ha permesso di rendere il motore più facile da isolare, più resistente e più economico da produrre.
Ian Hunter ha spiegato all’Economist che i suoi T1 eliminano la necessità di avere un albero di trasmissione (che nelle auto tradizionali collega il motore alle ruote), le sospensioni e altri componenti meccanici piuttosto pesanti. La riduzione di peso consente di usare motori che consumano meno, e di conseguenza di installare batterie meno voluminose e pesanti. Oltre a essere più semplici da gestire, possono essere ricaricate più velocemente e anche attraverso i sistemi di ricarica che sfruttano le fasi di frenata. La minor massa complessiva del veicolo riduce inoltre il problema degli ammortizzatori, anche grazie al sistema di sospensioni inserito nelle ruote insieme al motore elettrico.
Indigo ha sviluppato diversi prototipi per testare il suo sistema ottenendo risultati incoraggianti, sia per quanto riguarda l’autonomia sia per quanto riguarda la sicurezza. Ogni ruota è infatti indipendente dalle altre e può sfruttare in ogni momento la potenza necessaria per superare particolari asperità del terreno, od ostacoli. Questo si traduce in una migliore tenuta di strada e una maggiore stabilità del veicolo.
Al momento Indigo non ha in programma la costruzione di una propria automobile, ma sta lavorando con diverse aziende automobilistiche per far conoscere le sue soluzioni tecnologiche. Entro la fine dell’anno potrebbe stringere i primi contratti, con la prospettiva di introdurre i suoi motori sulle automobili a guida autonoma.
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