Guerra di cifre sul fronte delle patologie causate dall’uranio impoverito.
Secondo alcune fonti, sono addirittura oltre 7 mila i militari colpiti. Al contrario, lo Stato Maggiore italiano minimizza, fino quasi a negare ogni accusa, sostenendo che le forze armate del nostro Paese non utilizzano e non hanno mai utilizzato munizioni all’uranio impoverito.
Fatto sta che nel corso delle varie missioni militari, quasi sempre “umanitarie” (sic), molti nostri militari sono venuti a contatto con l’uranio impoverito; ed è assurdo negare un nesso di causa ed effetto, vale a dire il contatto e l’insorgenza di patologie anche gravissime e in non pochi casi letali.
Sotto il profilo geografico, le regioni più colpite per il numero dei militari ammalati sono la Sardegna (538 casi), cui seguono a ruota la Puglia (501), la Campania (475) e la Sicilia (454). Come si vede, a capeggiare la black list sono le regioni meridionali, quelle sempre e storicamente svantaggiate sotto tutti i profili. Quindi, in prima linea, anche quello sulla tutela del diritto alla salute.
In un recente rapporto dell’Istituto Superiore della Sanità, “si conferma l’azione genotossica dell’uranio e si nota che il danno cellulare è maggiore nel caso di piccole inalazioni ripetute rispetto a quello di una singola inalazione acuta”.
In un precedente rapporto dell’ISS, poi, era stato trovato “un eccesso statisticamente significativo dell’incidenza del linfoma di Hodgkin, un tumore dei tessuto linfonoidi secondari”.
Il nostro Stato Maggiore ha regolarmente ignorato ogni allarme, ha sempre respinto ogni accusa, fregandosene anche delle evidenze statistiche. “Le Forze Armate – questo il tono della aprioristica difesa – mai hanno acquistato o impiegato munizionamento contenente uranio impoverito”.
Sono però in piedi circa 130 procedimenti legali e cause intentate dai militari o dalle loro famiglie contro le forze armate di casa nostra. Tali contenziosi – sottolinea l’avvocato Angelo Fiore Tartaglia, coordinatore dell’Osservatorio militare – “hanno stabilito una relazione tra l’esposizione all’uranio e le malattie. Ma le gerarchie militari superiori continuano a negare ogni responsabilità. La linea difensiva è sempre la stessa: è stato fatto tutto il necessario per garantire la sicurezza del personale”.
Il ministro della Difesa nel precedente esecutivo gialloverde, Elisabetta Trenta, aveva puntato l’indice contro il “silenzio spaventoso dei vertici” ed annunciato la prossima adozione di una legge per la protezione dei diritti dei militari. Quel disegno di legge prevedeva che in futuro sarebbe stata la Difesa a dover dimostrare che la malattia non è correlata al servizio reso, e non il militare, invertendo così il cosiddetto “onere della prova”.
Cosa succede adesso di quel disegno di legge finito nei cassetti? Lo tirerà fuori il nuovo ministro Lorenzo Guerini, caso mai rafforzandolo sul fronte della tutela della salute dei militari? Staremo a vedere.